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mercoledì 1 febbraio 2012

Untitled - Parte 2

Winston Mansell ritornò dietro al bancone ed appoggiò i gomiti sul legno freddo, incurvò le spalle ed attese l’arrivo di qualche cliente o di qualche amico trovatosi in zona, o di qualcuno e basta. In un’intera mattinata si erano presentati pochi clienti, e ancor meno avevano comprato sigarette. Winston si muoveva come un automa: prendeva coscienza di ciò che avevano intenzione di comprare, batteva il prodotto alla cassa, strappava lo scontrino, lo porgeva, prendeva i soldi, dava l’eventuale resto e chiudeva la cassa.
Quando non compiva queste noiose azioni rimaneva poggiato sul bancone ad osservarlo, e solo quel giorno notò una scheggiatura nel legno causata dall’impatto con qualcosa duro ed appuntito; ci passò il dito sopra lentamente, saggiandone le irregolarità e vi schiacciò sopra l’indice con forza, in modo che il polpastrello prendesse la forma della scheggiatura.
Ricordò la causa di quell’imperfezione nel bancone.
Era il primo anno che aveva aperto quella tabaccheria, senza sogni, senza aspirazioni, giusto un mezzo per tirare avanti; di certo non è con una tabaccheria che si può diventar ricchi, però è una buona assicurazione per una vita dignitosa. Quel giorno aveva litigato con Jennifer perché era riuscito a perdere di nuovo il mazzo di chiavi della macchina e aveva costretto sua moglie a prendere quello di riserva per l’ennesima volta: per lui non c’era alcun problema nell’usare il secondo mazzo, la macchina funziona lo stesso, ma sua moglie è una maniaca dell’ordine e tutto ciò che turba l’ordine dell’ambiente della in cui vive turba anche il suo ordine mentale, per ciò anche la futile preoccupazione di aver perso la prima chiave della macchina la innervosisce e la irrita. Verso le 13.30 quando mancava un’ora alla chiusura della sua attività per pausa pranzo, Jennifer arrivò furibonda da Winston: i denti stretti, lo sguardo fisso su di lui, e camminava rapidamente enfatizzando il rumore della suola che batteva contro il pavimento.
“Eccole le chiavi, erano nella cesta dei panni sporchi, sotto la tua maglietta e i tuoi pantaloni” Disse tanto rapidamente queste parole che Winston dovette riflettervi per qualche secondo per comprenderle tutte; e in quello stesso momento lei gli lanciò la chiave della macchina.
Lui non fu abbastanza pronto da accorgersi subito del lancio e quindi dovette slanciarsi all’indietro ed alzare le braccia per tentare di afferrare le chiavi che avevano raggiunto la loro massima altezza ed iniziavano a precipitare.
Nel compiere questo movimento, urtò l’espositore di sigarette che cadde sul bancone e con lo spigolo lo scheggiò, lasciando quel segno indelebile su di esso.
“Lucky Strike Blu da 20” Annunciò un uomo dinnanzi a lui che stava piegato sul bancone ad osservarlo e tastarlo. Quella voce lo riportò alla realtà; il ricordo si dissolse lentamente, rimanendo per qualche secondo ancora aggrappato alla sua mente, come se volesse continuare a vivere attraversò la sua memoria.
Alzò lo sguardo, quasi impettendosi come un soldato colto di sorpresa dal caporale e portò lo sguardo sul volto da cui proveniva quella voce.
Non appena riuscì ad avere un’immagine chiara di chi l’aveva strappato dai ricordi, il suo sguardo mutò: divenne cupo. Gli occhi si socchiusero: divennero annoiati. La lingua s’appesantì: divenne impastata.
Respirò profondamente e rumorosamente a lungo, attendendo che fosse lui a parlare e l’altro fece lo stesso, probabilmente con lo stesso obiettivo.
Ma il cliente fu meno paziente del tabaccaio.
“Neanche le sigarette posso avere qui?” Disse il cliente con un sorriso a metà tra lo scherzoso e lo stizzito dipinto sul volto.
Distolse gli occhi da Winston ispezionando il negozio, non che non ci fosse mai stato, ma anche solo tenere l’attenzione fissa su di lui aumentava la sua tensione e non poteva più sopportarla; la mano destra tamburellava sul bancone in legno, mentre gli occhi ancora vagavano per la tabaccheria, tant’era la tensione che modificò in un attimo l’umore dell’uomo.
Battè un pugno sul bancone con tanta veemenza da farsi male, provocando un forte tonfo.

“Allora me le dai queste cazzo di sigarette o no?” Gridò gonfiando i muscoli del collo e sgranando gli occhi con ancora la mano chiusa a pugno poggiata sul bancone, le vene si delineavano su quest’ultima e la percorrevano per intero
Per fortuna la tabaccheria era vuota e nessuno, apparte Winston, assistette a tale scena.
Winston allungò la mano, prese il pacchetto di Lucky Strike e le passò all’uomo, facendole scivolare sul bancone per un brevissimo tratto, quasi temesse di avere contatti con lui.
“Cazzo, Winston!” Gridò di nuovo il cliente, prendendo le sigarette “Sono tuo fratello! Sono passato in questo buco di merda per salutarti e tu neanche mi rivolgi la parola!” L’uomo è fuori di sé: grida e sbraita, agita la mano che stringe il pacchetto di sigaretta, respira a pieni polmoni, il petto s’alza e s’abbassa, le vene sulla fronte e sulle tempie pulsano impazzite, gli occhi sono completamente aperti, sbarrati, quasi strabuzzanti.
“Ti ho detto di farti vedere il meno possibile qui, soprattutto a quest’orario, tra poco passerà Jennifer con la macchina e non voglio che ti veda qui.” Rispose Winston, antitesi perfetta del fratello, con le mani poggiate sul bancone, le braccia larghe ed i palmi rivolti verso l’interno.
“Io cerco di passare almeno una volta alla settimana di qui per venire a salutarti e tu, brutto stronzo, vuoi anche cacciarmi?” Domandò retorico al fratello, mentre la sua rabbia iniziò a scemare e quello riprese il controllo di sé. “Va be’, basta.” Si autoimpose quell’uomo scuotendo la mano che aveva battuto sul bancone.
“Sei venuto solo per comprare un pacchetto di Lucky Strike?” Domandò Winston, con un tono impaziente, incalzante, mentre adesso lui iniziò a tamburellare le dita sul bancone per diminuire la frizione che s’era creata tra i due ed il nervosismo che si erano causati l’un l’altro.
“Sono venuto per salutarti!” Alzò di nuovo la voce il maggiore, ma fu l’ultimo zampillo di furore che si spense quasi istantaneamente, e quello guardò per un attimo il pavimento e le sue scarpe, per poi tornare su Winston. “No, comunque, non sono venuto solo per salutarti, ti ho portato questo” E cacciandosi una mano nella tasca del tranch, ne tirò fuori una busta di lettere, rigonfiata dal suo contenuto, che porse al fratello.
La rabbia di Winston raggiunse nuovamente livelli altissimi, andando quasi ad annebbiargli, ma lui fu abbastanza bravo da controllarla e porvi un freno, in modo da non esplodere in qualche reazione folle e smodata contro un membro della sua famiglia. “Ti ho detto mille volte che non voglio questa merda di carità.” Disse a denti stretti, come se dovesse tener chiusa ogni apertura del suo corpo per impedire alla rabbia di fuoriuscire “Per quel che ne so, potrei anche finire in galera per questi.”
Il fratello rimase con la mano e la busta tese verso di lui, respirava lentamente, non adirato, non deluso, ma dolorante come se Winston con quel rifiuto gli avesse negato il suo affetto.
“Winston…” Ripetè il maggiore con un tono di rassegnazione ed uno sguardo che simulava la voce.
“Vattene, Richard!” Gridò Winston indicando col braccio e l’indice tesi in tutta la loro lunghezza ad indicare l’uscita.
Proprio in quel momento la testa di un cliente fece capolino da quella stessa porta. “E’ permesso?” Chiese, probabilmente credendo, dalle urla, che si stesse svolgendo qualche questione privata.
“Sì, prego, entri pure.” Disse Winston cercando di rendersi il più affabile possibile dopo una scarica di rabbia del genere.
Richard guardò catturò per un’ultima volta lo sguardo di Winston ed uscì.