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domenica 11 settembre 2011

Un'utile costrizione.

Una persona a me cara mi ha consigliato di aprire quesot blog. Potrebbe essere una buona idea. Ha detto Potresti dare sfogo a tutto quello che pensi. Ha detto. Potresti anche trarne qualcosa di concreto. Ha detto.
Ma a me non serve concretezza, a me serve astrazione.
Come per tanti di voi, lettori e non, per me domani è il primo giorno di scuola: l'inizio dei doveri, l'inizio dei sacrifici, dei dolori e, a volte, delle gioie. Questa situazione mi fa riflettere; essendo una persona dal carattere altalenante, ciò che prima mi appare insopportabile, poco dopo sembra diventare quasi rassicurante, eppure per la scuola questa non accade. Il piatto della bilancia del dolore è troppo pesante perchè quello della gioia possa eguagliarlo.
Non v'ingannate, non sono qui per dire che la scuola è uno schifo e che sapere cosa pensava Platone sulle idee secoli fa o sapere fare una disequazione sarà totalmente inutile nella vita, io non sono uno dei soliti studenti contro scuola, nè uno di quegli adoranti dell'istruzione scolastica, ma ammetto che se non fosse per la scuola sarei la metà di quello che sei. Sia in senso positivo che negativo.
In questo mio post la scuola avrà solo il valore di manifestazione del dovere imposto. La scuola NON è un Dovere, è un dovere. Un dovere impostoci dalla società in cui viviamo, così come lo è il lavoro, un falso dovere poichè non è radicato nella natura dell'essere umano: se deste ad un uomo la possibilità di condurre la stessa identica vita senza lavorare, nessuno lo sentirebbe più come un dovere e tutti abbandonerebbero il lavoro. Il vero Dovere che noi soddisfiamo lavorando è il Dovere di vivere, senza lavoro non si può vivere e noi DOBBIAMO vivere, è uno dei Doveri reali; i Doveri reali, però, non si limitano solo ai bisogni dell'uomo, come, per l'appunto, vivere oppure mangiare, dormire e scopare, i Doveri reali sono qualcosa di molto più astratto. Avete mai provato il Dovere di vedere un amico o il Dovere di uscire? Uscite con i vostri amici nonostante non abbiate voglia perchè vi sentite in Dovere con loro, in Dovere di non privarli della vostra presenza, in quanto è necessario per il loro bene che voi stiate lì, anche solo a tenere loro compagnia in una serata noiosa e vuota.
Il Dovere non è solo ciò che è necessario fare, ma anche ciò che non cede alle voglie e ai capricci in alcun modo.
La scuola può sembrare tale, in quanto, nonostante non ci vogliate andare, ci andate lo stesso, ma la vostra poca voglia non incide sullo studio e sull'attenzione? E se aveste la possibilità di decidere un giorno in cui la voglia vi abbandona, non scegliereste di saltare quell'aborto del piacere? Allora la scuola cede alla voglia e ai capricci.
Altra cosa che ritengo ridicola della scuola è il fine che le si attribuisce. 
Questo discorso vale soprattutto per i licei, ma non esclude del tutto gli istituti professionali.
Provate a cheidere ad un professore a cosa serve la scuola; il 90% di loro vi rispondere che la scuola serve per trovare lavoro in futuro. Mi viene in mente una scena che ancora conservo nella mia memoria: ero in prima media, il primo giorno di scuola e, dopo pochi minuti dal suono della campanella, dalla porta entrò il preside. Un uomo alto, con dei baffi neri che gli conferivano un'area quasi maestosa, rassicurante, come i padri-eroi della Disney: buoni ed amorevoli. A regalargli un'area ancora più imponente era il vestiario, giacca e cravatta, qualcosa che allora avevo visto solo in televisione o indosso a mio padre; credo che fu per quello che ne fui rassicurato all'inizio, lo associai a mio padre nelle serate di famiglia più eleganti, quelle in cui era più felice.
Il volto non poteva di certo tradire quest'amplesso di serietà.
La fronte era corrugata, questo accentuava la rughe rendendo quella faccia ancora più saggia; gli occhi dritti dinnanzi a sè, non mostrarono nessuna curiosità per i piccoli esseri umani presenti in quella classe; le labbra erano serrate tra loro, coperte dai grandi baffi e le narici si dilatavano lentamente.
Non si schiarì la voce, non fece alcun gesto, non gesticolò. Fece scorrere gli occhi per la classe e disse "Ragazzi! Vediamo di studiare, questa è la scuola più importante, senza licenza di terza media non puoi neanche andare a vendere la frutta su di un carretto in mezzo alla strada!" Più che parlare, gridò. Allora non capì quelle parole, adesso ne ho compreso la gravità.
Io non vado a scuola per trovare qualcosa di meglio che fare il fruttivendolo in mezzo ad una strada, io vado a scuola per il SAPERE, e qui torniamo al discorso di prima: come fa la maggior parte dei professori a pretendere ideali e senso del Dovere, due concetti astratti, se per loro la scuola ha un fine ESCLUSIVAMENTE concreto? Come possono pretendere l'evoluzione della mente se fanno propaganda dell'evoluzione del sapere pratico? Per loro imparare ha un fine fuori di sè: io imparo per mettere in pratica. No! Questo tipo di sapere, per Platone, è utile e assolutamente non disprezzabile, ma non è il tipo di conoscenza più alta. Io imparo per il piacere d'imparare, conosco perchè voglio conoscere, mi acculturo perchè sento il bisogno di cultura. Un sapere fine a se stesso. La gente dovrebbe smetterla di considerare la scuola per quello che darà loro in futuro,e dovrebbe iniziare a considerare la scuola per quello che da loro ORA.
Se gli studenti lo capissero, molti di loro si metterebbero l'animo in pace.
Vi lascio con questa mia considerazione: la scuola non è un Dovere, è un'utile costrizione.


Auguro a tutti voi buonanotte ed un piacevole rientro a scuola.
Marco Migliaccio.

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